Skip to main content

Cita questo articolo come: Canton, Marco. 2019. «Digital humanities. Chiarire il presente digitalizzando il passato». Humanities for Change (blog), 8 novembre 2019. https://bembus.org/2019/11/08/digital-humanities-chiarire-il-presente-digitalizzando-il-passato/.

Fin da piccoli siamo cresciuti con l’idea, spesso stereotipata e per certi versi buffa, che l’insegnante di storia o lo storico di professione fossero persone di grande cultura, intente a passare gran parte delle loro giornate sui libri, perdendosi nel mare delle innumerevoli informazioni che ci regala la storiografia, parzialmente o totalmente estranei alle nuove possibilità offerte dal mondo digitale. La realtà tuttavia è molto diversa. Internet, infatti, dalla metà degli anni ‘90, è diventato un prezioso strumento atto a migliorare le ricerche in ambito umanistico, in un certo senso completandone l’opera.

Cataloghi online, registri anagrafici, fonti letterarie, sono solo alcune delle risorse che oggi ognuno di noi può reperire facilmente in rete, colmando eventuali impedimenti spazio-temporali. Ora cercherò di enunciare in maniera più dettagliata questo nuovo metodo di ricerca reso possibile dall’applicazione delle nuove tecnologie, analizzando alcuni dei suoi punti di forza ed i corrispettivi punti di debolezza.

La rivoluzione dell’umanistica digitale

Gli umanisti sono sempre più convinti nell’affermare che ci sia stata e sia tuttora in corso una vera e propria rivoluzione nella ricerca e nella catalogazione delle fonti storiche, dovuta alla rete digitale. Quest’ultima potrebbe sostituire con grande rapidità i cataloghi e i supporti cartacei. Ciò nonostante tale sostituzione non avrà per il momento un impatto decisivo, in quanto documenti originali ed enti di conservazione fisici rimarranno senza dubbio fondamentali per uno studio più approfondito e per trasformare l’esperienza concreta in conoscenza, elemento necessario per lo svolgimento sia di una ricerca di carattere digitale, sia di stampo cartaceo.

A questa nuova modalità di azione corrispondono nuovi approcci digitali di diffusione e catalogazione delle fonti storiche, con il conseguente assottigliamento delle differenze delle varie professionalità di settore (quali l’operatore dei musei, l’archivista e il bibliotecario) ed un bagaglio maggiore di competenze da acquisire, che rendono più ampio il ventaglio di capacità che ne deriva. Il progetto Europeana ne è un chiaro esempio.

Considerazioni generali sul digitale

Nell’analizzare le principali caratteristiche del digitale è bene soffermarsi su alcune di esse in particolare. Ad esempio, secondo Joshua Meyrowitz, professore di comunicazione alla New Hampshire University, i media elettronici hanno esercitato un forte impatto nella distruzione dell’integrità spazio-temporale dell’opera storica, nonostante siano in grado di rendere le fonti storiche, da private ed inaccessibili, disponibili ad un pubblico più ampio.

Attraverso questi media tutto ciò che accade quasi ovunque può capitare ovunque noi ci troviamo. Ma se siamo ovunque non siamo neppure in un posto particolare.

Joshua MeyrowitzNo Sense of Place, Oxford, Oxford University Press, 1993, p. 213

In secondo luogo si può riflettere sul fatto che le fonti e i dati vengono spesso classificati dalla rete non certo in base al loro valore qualitativo. Al fine di combattere il rischio di incorrere in articoli o opuscoli di dubbia qualità o eccessivamente influenzati dai media contemporanei, gli studiosi dei vari settori devono dunque fornire gli strumenti critici per aiutare il lettore ad orientarsi in una galassia di informazioni che impedisce il mantenimento di una lucidità di pensiero e che può inesorabilmente condurre ad un disordine mentale assai difficile da contrastare.

Dominare la rete

Ed  è qui che entra in gioco la digital history: questo termine viene creato nel 1997 grazie al contributo di Edward l. Ayers, professore della Virginia University, ed indica un nuovo metodo di ricerca storica, che consiste nell’offrire nuovi strumenti digitali sia ad esperti, sia ad un pubblico non specializzato, al fine di comprendere come controllare ciò che si trova in rete attraverso il mestiere di storico.

Una delle pietre miliari a tal proposito è stata la creazione, anche da parte di Ayers, del primo sito online di archivi storici, chiamato The valley of the shadow. Questa piattaforma offre fonti e documenti antichi di 150 anni, che mettono a confronto le realtà di due contee americane durante la guerra civile, una confederata, l’altra unionista, tralasciando completamente qualsiasi componente narrativa.

La diffusione pubblica della conoscenza storica e la formazione di individui deputati alla divulgazione della stessa al di fuori del mondo accademico fanno parte della public history, che vede nell’illustre figura di Serge Noiret, presidente dell’Associazione Italiana di Public History, una delle personalità più attive in questo campo. L’obiettivo dell’associazione? Diffondere la storia al di fuori dell’ambito scolastico, facendo opera di divulgazione efficace nella società civile. Questo però è possibile solo se gli operatori e gli studiosi sviluppano delle tecniche comunicative adeguate ad un pubblico ampio, trasformando e rendendo affascinante l’universo umanistico, riuscendo magari a far cambiare opinione a eserciti di studenti pronti a evitare in qualsiasi modo la fatica di studiare le vicende delle guerre napoleoniche o dell’Impero romano. Inoltre, le abilità comunicative necessarie all’opera di divulgazione possono fondersi con la capacità di presentare in maniera più interessante e fluida la storia, per esempio armandosi di atlanti digitali, promuovendo dibattiti su diversi social media e facendo ricorso ad altri supporti multimediali, che riescono a creare spazi di condivisione più ampi e immediati sia per uno studioso che per una persona curiosa, favorendo inoltre una circolazione costante di materiale.

Informatica e Umanesimo: due realtà parallele?

Ma ora invito ad un’ulteriore analisi e riflessione riguardo all’’informatico e all’umanista, due professioni che sembrano antitetiche e senza nessun punto in comune ma che forse proprio ora dovrebbero unirsi per evitare un possibile scollamento tra metodologie di ricerca storica tradizionali e computazionali. La soluzione potrebbe essere l’informatica umanistica, che potrebbe portare ad una interazione efficace tra i due ambiti disciplinari, rendendoli interdipendenti e trasversali. Una condizione indispensabile per fare ciò è quella di spostare la materia da un ambito prettamente ingegneristico ad uno teorico e umanistico. Il problema più rilevante sta nel fatto che nei corsi di laurea odierni non esiste ancora un approccio qualitativamente valido, causato dal fatto che molto spesso gli esperti di digital history e di digital humanities hanno competenze approssimative nel campo informatico, oppure dall’altra parte i professionisti dell’ambito tecnologico risultano completamente estranei alle materie storiche. La formazione di informatici umanisti porterebbe così ad un loro potenziale impiego sia nella didattica umanistica che in quella scientifica, aprendo  risvolti che sono tuttora incerti, ma anche assai promettenti per il prossimo futuro.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.